Alimentazione consapevole ed evoluzione della coscienza

a cura di Patrizio Colagiovanni

 

Parlare di alimentazione è una scelta delicata. Nutrirsi rappresenta l’azione base di ogni creatura, assimilare energia per trasformarla in crescita o in riproduzione.  Per l’umanità oggi è l’ingresso per un universo di tradizione, di identità, di famiglia, di condivisione. Certo, anche di assenza, di povertà, di sottomissione, di disperazione, ma  anche di commercio, di produttività, alimentazione come valuta di scambio, lavoro, potere economico, progresso scientifico.

Come per ogni aspetto dell’esistenza umana, l’alimentarsi ha subito ramificate evoluzioni direzionate dalle necessità del percorso di crescita sociale. Questo significa differenze importanti rispetto ad abitudini nutritive preistoriche, causa o contributo di modifiche genetiche appropriate e contestuali al tipo di cibo ingerito, ma così non sembra più accadere. Anzi, i risultati ottenuti rilevano una preoccupante deriva nello stato di salute collettivo, spesso causata da manipolazioni dello stesso cibo che dovrebbe sostenerci e permetterci di esistere su questo pianeta. L’evoluzione alimentare ha quindi vissuto una deviazione rivelatasi in realtà dannosa, parallelamente ad altri aspetti del sociale, in quanto nutrirsi è la radice su cui costruiamo ogni azione, ed ogni azione determina anche il nostro nutrimento.

La società oggi propone una moltitudine di soluzioni scientifiche e non, per arginare il problema, ciò che fa più raramente è osservarlo da prospettive diverse, che non siano la semplice sostituzione di un prodotto con un altro per avere un effetto diverso. Essendo stata la chimica la causa più attiva degli squilibri alimentari, forse non è la chimica la risposta più efficace.

In un non lontano passato l’unico strumento utile a riconoscere un alimento sano da un veleno era il gusto, una compagine di organi altamente specializzati e strettamente connessi all’intero organismo in grado di tradurre ogni esigenza di quest’ultimo in un desiderio, una ricerca o una scelta specifica dell’alimento appropriato. L’utilizzo della chimica con l’avvento della grande distribuzione ha reso quest’organo altamente evoluto un nemico del proprio corpo, rendendo prodotti per loro natura quasi incommestibili, desiderabili. Anzi scatenando una competizione su scala mondiale per produrre cibi sempre più gustosi e sempre meno nutrienti, in un gioco sottile con le leggi in vigore e chi queste leggi le decide visto l’enorme potere economico in ballo, potere in grado di cambiare le sorti di una Nazione, quindi anche la qualità della spesa.

Potrebbe essere questo uno spunto per osservare quante altre forme moderne di nutrimento, dall’informazione quotidiana alle relazioni sociali, ad esempio, vengano manipolate e contemporaneamente edulcorate per rendersi desiderabili.

Ecco che portare consapevolezza nell’alimentazione può essere diverso dall’affidarsi ad un programma di nutrizione studiato per categorie, o dallo sposare una causa legata a temi ambientali, sociali, etici. Ovviamente senza escludere nulla a priori. Alla data attuale sono davvero molte le diete strutturate e complete che fanno parte delle nostre possibilità di scelta, e variano da soluzioni di ispirazione etnica a vere e proprie prescrizioni medico scientifiche, supportate da dati empirici. Certamente la più conosciuta e comprovata è la dieta vegetariana, che come è risaputo elimina dalle possibilità il consumo di carne animale, indicando quest’ultima come causa scatenante di molteplici patologie moderne, oltre che eticamente inaccettabile. I recenti studi sulle condizioni climatiche mondiali ed i livelli di inquinamento ne fanno inoltre una delle diete più consigliabili per l’umanità tutta, in termini di sostenibilità.

Ugualmente dicasi per la dieta vegana, che all’eliminazione di carni animali aggiunge ogni suo derivato  (come uova, latte e miele). Quel che risulta evidente a chi tenti un primo approccio alla dieta vegana è il drastico distacco necessario dall’alimentazione moderna a cui la maggioranza dell’umanità è legata da generazioni. Può essere il primo passo verso una diversa percezione dei prodotti alimentari che si trovano abitualmente sugli scaffali di un supermercato o sulle nostre tavole, prodotti che si danno per scontato essere parte delle nostre vite, oltre che letteralmente parte di noi. Bisogna anche dire che eliminare determinati alimenti promuove nuovi modi di considerare i restanti, che risultano spesso essere altrettanto sufficienti se non addirittura più vari, a seconda dell’attenzione dedicata. Attenzione che permette di informarsi sulla storia e la cultura dell’alimentazione, le motivazioni fondamentali per cui un alimento diviene tale, ripercorrere orme di tradizioni antiche e dimenticate, regalando un valore diverso al pasto, ed un rispetto prima mai considerato. Grani antichi come il khorasan o turanicum, il “senatore Cappelli”, oppure cereali come il grano saraceno o il mais arcobaleno tornano sulle nostre tavole accompagnate da semi di chia, bacche di goji, avogados e l’ impetuoso fenomeno della globalizzazione, che mescolando spesso antico e lontano, produce risultati a volte non proprio consapevoli, anche nel prezzo al dettaglio.

Altrettanto degne di menzione diete come il crudismo o il fruttarismo, che esplorano ulteriormente le possibilità selettive dell’alimentazione, addentrandosi in campi non più sostenuti dalla scienza, che le considera dannose per un’esistenza moderna ed equilibrata, ma che acquisiscono spesso grande valore per chi li associa a percorsi spirituali mirati. Nutrirsi di alimenti non trasformati dalla termodinamica (la cottura), così come richiede il crudismo, può creare reazioni di adeguamento nel corpo umano tali da rendere necessario un monitoraggio costante, negli ultimi millenni ci siamo evoluti considerando la cottura dei cibi una certezza, per digerire solo alimenti come la carne cruda è necessaria una reale trasformazione della flora intestinale, come dei succhi gastrici. Ben diverso un approccio crudista a diete che eliminano la carne, certamente considerato più gestibile dall’apparato gastrointestinale.

Il fruttarismo invece può essere considerato come un’approfondimento del pensiero vegano, indicando come cibo ciò che il regno vegetale produce volontariamente come cibo, cioè frutta e ortaggi, le strutture create dalle piante per essere offerte a chi disperde poi le sementi in territori non raggiungibili dalle piante stesse. Un atto di estrema consapevolezza che a detta di esperti nutrizionisti, non permette un completo apporto di nutrienti necessari al corretto funzionamento del corpo umano, nonostante sia in grado di sostenerlo in salute per diverso tempo. Risulta infatti nel lungo periodo un’importante carenza proteica da richiedere una modifica delle abitudini quotidiane, se non un diretto adeguamento fisico a tale carenza, e status correlati.

Modalità queste di pensare l’alimentazione che, quando opportunamente approfondite, raggiungono livelli altissimi di purezza, fino a trasformarsi in vere e proprie modalità alternative di esistenza, cosa che si ritenga riescano comportamenti come il Bretharianismo, che riconosce nutrimento solo nella luce del Sole, nel respiro, in alcuni casi un poco d’acqua. Sono esistiti casi monitorati di Brethariani dichiaratesi tali da molti anni, un paio di casi famosi in India, che suscitarono non poco scalpore, per la lontananza da tutto ciò che è considerato alimentazione umana. Persone osservate e monitorate per settimane nutrirsi di aria, di luce mantenendo una costituzione certo emaciata e pressochè immobile, ma sana, senza particolari necessità da colmare o sofferenze, tanto da essere considerate a tutt’oggi un mistero. Le loro dichiarazioni vertono tutte sulla capacità di nutrirsi dell’elemento primigenio del Cosmo, il Prana, tramite particolari tecniche di respirazione e meditazione pressochè costanti. Sono altresì molti i casi documentati di gravi scompensi subiti da chi ha tentato invano tale dieta, sottovalutandone le implicazioni.

Così vario ed abbondante è lo studio e l’attenzione portata all’ atto quotidiano di alimentarsi che suona sgradito riportare verità come la mancanza di accesso al cibo per molti popoli, a tutt’oggi, mentre si assiste al consumo irrazionale e lo spreco della civiltà “evoluta”, nel disinteresse dilagante all’altrui condizione. Quindi, quale può essere l’azione consapevole da portare quotidianamente sulle nostre tavole, nelle nostre abitudini alimentari, per migliorare la qualità della propria esperienza di nutrimento, e tutti gli aspetti della vita ad esso connessi? @

Semplicemente rendersi conto, riportare all’originario valore l’azione del nutrirsi giornalmente, chiedersi ogni volta cosa realmente stiamo introducendo nel nostro corpo per renderlo parte di esso, parte di noi, che qualità stiamo aggiungendo al nostro potenziale quotidiano, ma soprattutto informarsi del mercato con coscienza, dalle nostre tavole fino alla produzione delle materie prime. Che valore si può dare ad un alimento che non si conosce, che altri hanno manipolato certo con le migliori intenzioni, ma sempre come oggetto di scambio, come valuta, non più come cibo, ma come lavoro, presentato e reclamizzato con la minima trasparenza possibile per ovvie ragioni di risparmio, regolato via termini di legge per evitare danno eventuale. Nutrirsi non è risparmiare sulla propria salute. Esiste un forte conflitto ideologico tra produttore e consumatore, integrare questa realtà permette di non vivere più un ruolo passivo. Verrà da sè poi l’informazione responsabile ed un genuino ascolto del proprio corpo che aiuti nella scelta appropriata alle personali necessità, o a cercare un aiuto sincero in tal senso.

Riportare l’alimentarsi ad un’azione completamente attiva dona l’opportunità quotidiana di volersi bene a tavola, un gesto d’amore verso noi stessi che può essere condiviso con chiunque, soprattutto con chi realmente e regolarmente produce la nostra fortuna, la nostra abbondanza, la Natura Madre che ci nutre da sempre allo stesso modo, con ciò di cui abbiamo bisogno.