L’Uno che ritorna all’Uno

Lo stato di samadhi che è di sospensione dei sensi,
è lo stato in cui il corpo non c’è più,
in cui si arriva a non sentirlo, a percepirlo come sospeso da terra.

Kundalini ergendosi solleva il corpo , Shakti si unisce con Shiva,
quando c’è l’unione cosmica, l’orgasmo cosmico,
quando Shakti sale oltre il 5 chakra e giunge fino al 6 chakra
e oltre c’è l’esplosione, il grande fiore di loto,
è il momento del risveglio.

Uno stato elevato di coscienza che santi e saggi di ogni epoca
e di ogni cammino spirituale hanno vissuto,
uno stato che non è possibile descrivere
ma che si può solo sperimentare personalmente.

Questa potente connessione porta alla totale assenza del corpo,
se osservate gli occhi dello yogi, sono retroflessi indietro,
ma anche se osservate gli occhi di un morto, sono retroflessi indietro.
Quindi è uno stato di catalessi, morte apparente,
dove i sensi non esistono più, dove il corpo va in ipotermia,
non si sentono dolori, pruriti, crampi,
neanche le mosche se volano sotto il naso.
Non si sentono più nemmeno i rumori esterni,
perchè entrare in questo stato
è l’osservazione dell’universo interiore ,
tutto il resto dell’involucro fisico non esiste più.

Si fonde con l’Universo esteriore.

Possiamo dire uno stato di morte apparente, apparente perchè?
la morte non esiste è solo un cambiamento di stato,
passo da un aspetto di coscienza di ciò che vede,
di ciò che definisco reale, ad un aspetto di coscienza altra.

Nella meditazione Dhyana, stato che precede il Samadhi,
esiste ancora la distinzione tra conoscitore, oggetto e atto del conoscere
mentre nel Samadhi, lo stato di estasi divina,
si arriva alla fusione completa di questi tre aspetti,
non si percepisce più differenza
tra noi (il conoscitore) e l’ambiente esterno (l’oggetto da conoscere)
e si comprende nel profondo
che “la parte è nel tutto e il tutto è nella parte”.

Viene chiamato “Satori” nella pratica zen, “Nirvana” nel buddismo,
divinizzazione” nel cristianesimo e “Samadhi” nello yoga
definizioni diverse per descrivere
lo stesso stato glorioso, quella meta ultima,
a cui si aspira in tutte le vie spirituali autentiche.

Noi occidentali siamo stati da sempre molto lontani
dalle pratiche yogiche antichissime
che favoriscono il processo verso il Samadhi;
le pratiche di sospensione del respiro
sono da sempre praticate nel mondo sciamanico
ed iniziatico di tante altre tradizioni,
poiché esse portano a superare la paura della morte
ed entrare nello stato di morte apparente
in cui tu sei padrone di un campo sconosciuto alla fisicità.

Nelle fasi iniziali del Samadhi la mente
prende la forma dell’oggetto stesso,
per questo l’Osservatore non ha più bisogno di mezzi esterni
per conoscere l’oggetto, è tutt’uno con esso,
si identifica con l’essenza stessa dell’oggetto
andando oltre tutti i suoi attributi esteriori.

Lo stato di Samadhi è chiamato anche “stato di vuoto beatifico” 
poiché si trascende, si oltrepassa il mondo illusorio (Maya)
e si arriva a vivere in quello stato di “vuoto pieno”,
di non esistenza che, in modo apparentemente paradossale,
ci porta alla vera esistenza, alla beatitudine suprema
e alla fusione della nostra essenza con l’Essenza Ultima.

Uno che ritorna all’Uno.

fine prima parte
Darshana degli Elohim , dai corsi di meditazione 2011